domenica 19 maggio 2013

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La prossima volta che parlerai male del mio Paese ricordati che ha dato 10 punti al tuo Mengoni

Posted: 19 May 2013 08:18 AM PDT

marco-mengoni

 

A un certo punto, mentre si cammina disperati alla ricerca di un posto in cui mangiare dopo l’ennesima notte dei musei nell’ennesima museo di cinema e musica di questa città, mi arriva un’allerta di non so più che sito: la Danimarca vince l’Eurovision, Amandine arriva terzultima. Sai che sorpresa, in entrambi i casi.

 

 

I francesi sono così. Un po’ ci sperano sempre, ma si rendono perfettamente conto di essere odiati non tanto da popoli che zappano ancora la terra, ma proprio anche da se stessi. Dopo averli osservati da vicino sono giunto alla conclusione che se pure ci si si potesse votare da soli (come Loretta Goggi con Serena Autieri che fa stessa a Tale e quale show) la Francia non so mica si darebbe i famosi dodici punti. E comunque, France Télévision non aveva nessuna voglia di vincere e, donc, organizzare l’anno prossimo ‘sta buffonata (“Col cazzo, non ci abbiamo manco la pubblicità in prima serata”) (“Secondo voi perché ci abbiamo mandato Amandine?”). La verità è che ai Grandi Paesi non gliene frega niente di vincere, infatti arrivano spesso tra gli ultimi, al contrario dei paesi sotto regimi dittatoriali. L’Italia invece arriva sempre tra i primi dieci (è solo un dato di fatto, non intendo trarne alcuna conseguenza politica).

 

Guardare l’Eurovision per il mero dato musicale, l’abbiamo detto tante volte, è una colossale perdita di tempo. Sia per il livello medio delle orrende canzoni, sia per una tragica anglo-omologazione che rende indistinguibile qualsiasi disperato tentativo di mettersi in luce agli occhi del mondo. Sarebbe bello se venisse riconosciuta almeno l’onestà di portare canzoni nella propria lingua natale, approfittando della platea smisurata per apportare, ahem, un quid di conoscenza (circoletto rosso per esempio all’Ungheria: non ci ho capito un cazzo, ma sempre meglio del lituano che ha studiato con l’Assimil farlocco Oxford edition) (poteva almeno andare a ripetizione da Federica Gentile). Non bastassero questi elementi e la famosa variabile “Rafa Gualazzi”, ecco poi il carico da novanta dei bocchini a vicenda dei blocchi balcanici, sovietici e scandinavi e, in generale, l’enorme astio dell’Est contro l’Ovest (sì, guardate i voti in diagonale e vi accorgerete che siamo ancora a questo). Il risultato finale non può dunque che essere un meh gigantesco. Ogni anno. 

 

Gli italiani, les pauvres. Loro sì che ci credevano. Quest’anno, poi, schieravano il loro cavallo di razza, il Marco Mengoni finalmente trasversale, amato dai laureati e dalle casalinghe, da grandi e piccine. Certo, il pezzo è una lagna che ha senso solo se ci si esercita nell’oscena rivisitazione del ritornello, ma pur sempre una lagna capace di spazzare via stati e staterelli con uno starnuto. Il settimo posto alla fine va benissimo (“Marco, hai visto che sei arrivato primo in Albania?” “Yeah!”), considerato il feedback da parte di paesi da un mercato potenziale molto forte, come quello spagnolo e francese. C’è da dire che i dieci punti transalpini sono stati una sorpresa un po’ per tutti, forse anche grazie alla co-telecronista, tal Mireille Dumas, che ha pompato per tutto il tempo il nostro (“Oh, il est beau!”) traducendo anche oscuri punti dell’oscuro testo mengoniano. Ad ogni modo, com’è come non è, io, fossi il produttore di Mengoni, un giretto fuori dalle Alpi me lo farei. Per chiudere, avrei da dire delle cose ad Anouk, ma il me stesso del ’98 me lo sta fisicamente impedendo. All’anno prossimo. 

 

 

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